Lunedì 13 novembre 2017 la consigliera comunale Giulia Di Girolamo ha presentato il seguente intervento di inizio seduta in Consiglio comunale sul recente caso di disordini all’interno del carcere.

Gerarchie e regole. La legge del boss può superare agilmente le sbarre, anche sotto le due Torri. Regole ben definite e un sistema di potere proprio di una consorteria criminale di spessore e rispettabile come la ‘ndrangheta. Abbiamo letto in questi giorni un’ampia rassegna stampa che ci racconta una storia non surreale, nemmeno straordinaria, ma piuttosto inquietante nel suo insieme. Clan e droga dentro la Dozza. Sgarbo al boss, detenuto pestato. La legge della ‘Ndrangheta alla Dozza.

I fatti, risalenti al 2015, sono stati resi noti dal collaboratore Giuseppe Giglio, arrestato all’interno della maxi inchiesta Aemilia e anch’egli detenuto alla Dozza all’epoca dei fatti. Giglio infatti ha raccontato alla Dda di un pestaggio, eseguito da due detenuti appartenenti al clan dei Casalesi, ai danni di un ragazzo napoletano detenuto all’interno del nostro carcere per essersi rivolto in maniera sgarbata ad un boss della ‘ndrangheta, tale Gianluigi
Sarcone, calabrese di Cutro, considerato punto di riferimento, referente di tutti i suoi corregionali detenuti alla Dozza, nonché fratello del noto Nicolino Sarcone, capo della cosca di ‘ndrangheta radicata a Reggio Emilia.
L’altro mandante del pestaggio, oltre a Sarcone, è Sergio Bolognino, fratello di Michele, altro presunto appartenente al sodalizio criminale ‘ndranghetista già noto agli inquirenti di Aemilia.

Dalla Calabria all’Emilia, dunque, stesse dinamiche di potere, stessi traffici, stessa gestione, favorita anche dalla compiacenza di due guardie penitenziarie coinvolte nell’inchiesta che avrebbero facilitato l’ingresso in carcere per conto dei boss di droga, alcol e telefonini. Secondo il collaboratore Giglio: “ in carcere c’è una legge non scritta”. Ed è quella la vera legge che vale tra alcuni detenuti: la legge della malavita, la legge della giungla. Si parla quindi di Gerarchie criminali che sono state riprodotte in maniera capillare, dentro e fuori dal carcere, con una spartizione di ruoli ben definiti tra gruppi criminali diversi, esattamente come è avvenuto in tutta l’Emilia. Non assistiamo infatti a guerre tra camorra e ‘ndrangheta per la gestione dei territori, ma ad un patto di gestione pacifico tra loro della nostra regione. Gerarchie che si manifestano, come riportato dagli organi di stampa anche durante i pasti con il boss Sarcone a cui apparteneva il capotavola. E addirittura, secondo gli inquirenti, “i napoletanti portavano a Sarcone il rispetto che si deve ad un capo riconosciuto di ‘ndrangheta”, chiaro riconoscimento di una supremazia economica e sociale di massimo rilievo.
La Simbologia criminale, supportata da un sistema intimidatorio basato sui rapporti di forza e dalla capacità di gestione degli affari di rilievo grazie ai contatti con mogli e compagne fuori dal carcere, hanno portato anche nei nostri territori ad una presa di potere molto forte della ‘ndrangheta, che rimane ben ancorata alle proprie tradizioni antiche, sapendosi adattare ai contesti più diversi.

Secondo il GIP di Bologna Alberto Ziroldi, le condotte dei due mandanti del pestaggio “si inquadrano in un disegno quotidiano di rafforzamento della propria capacita’ e direzioni criminali, quindi come espressione dell’esistenza e della forza dell’associazione di stampo mafioso, anche in ambito carcerario, luogo elettivo per la difesa e affermazione sia nei confronti di altre organizzazioni dell’associazione di appartenenza, sia nei riguardi di chiunque intenda disconoscerne la supremazia”.
Occorre, dunque, come dichiarato anche dal garante dei detenuti, il Dott. Ianniello, fare immediatamente chiarezza sui fatti, e soprattutto sulle dinamiche poste in essere dai detenuti coinvolti nell’inchiesta Reticolo, affinchè vengano quanto prima ripristinate le condizioni di sicurezza che al momento sembrano essere del tutto saltate.